ginkgo biloba
di Sergio Sartori afi bfi
L’idea nasce osservando il tappeto di foglie del ginkgo biloba cadute a terra: la loro fragilità e la loro forma quasi simbolica suggeriscono subito un tema di trasformazione, di passaggio tra materia e memoria. Decido quindi di raccoglierne alcune, scegliendo quelle più integre, leggere e già prossime alla completa essiccazione. Le porto in studio e le dispongo su un foglio chiaro, lasciando che la loro posizione naturale, la caduta, l’inclinazione dei gambi, la curva delle lamelle, guidi la composizione.
Realizzo una prima serie di fotografie a colori, ravvicinate, per catturare la materialità: le venature, il giallo opaco, la fragilità dei margini. Dal materiale raccolto seleziono quattro scatti fondamentali: uno dedicato alla caduta, uno alla transizione, uno alle emanazioni, uno alla fogliolina a forma di cuore, quindi
le stampo su cartoncino MOAB rag natural 300 fine art trasformando in bianconero la parte che serve per ottenere le basi dove andranno a collocarsi le foglie vere.
Inizia quindi il montaggio: sovrappongo e incollo sulle fotografie delle foglie vere a quelle delle loro silhouettes in bianco e nero, facendo combaciare con precisione i gambi, che diventano il punto di passaggio tra i due piani dell’opera.
Il risultato è una composizione in quattro immagini/collage che raccontano un processo: la materia che cade, l’anima che si distilla e sale, il sentimento che resta come traccia ultima e insistente.
In questa composizione le foglie di ginkgo biloba non sono semplicemente
elementi botanici, ma diventano creature al confine tra materia e
memoria. Cadute, asciutte, ormai separate dall’albero che le ha generate,
portano con sé il destino di ogni cosa che termina: perdere peso, lasciarsi
andare, farsi altro.
La loro presenza nella parte bassa dell’opera — vere, gialle, fragili, rivolte
a testa in giù — suggerisce il momento ultimo della vita vegetale: il
contatto con la terra, il ritorno al silenzio. Sono foglie morte, sì, ma non
inerti. Sembrano ancora trattenere un ultimo respiro di forma, come se
stessero preparandosi a lasciare andare la loro anima.
Ed è proprio lì che interviene la parte superiore della composizione: il
bianconero fotografico non è soltanto una replica, ma una emanazione,
una specie di distillato visivo. Le sagome salgono sottili, coincidenti ai
gambi delle foglie vere. È come se la parte fisica rimanesse giù,
appoggiata alla superficie della terra/immagine, mentre la parte
immateriale si solleva, libera dalla gravità.
La coincidenza dei gambi diventa così un punto di passaggio:
un piccolo varco attraverso cui la vita materiale e quella simbolica si
separano con grazia. Le foglie vere stanno cedendo il posto al loro
“doppio”, che non pesa, non marcisce, non cade: è ciò che resta quando il
resto se ne va.
E poi quella minuscola fogliolina a forma di cuore, in negativo, sulla
destra. Isolata, discreta, è il residuo emotivo di tutte le altre. Non
appartiene più al mondo naturale, non ricade nel ciclo delle stagioni: è la
traccia affettiva, la forma dell’amore, della cura, del ricordo. Come se,
dalla dissoluzione del corpo delle foglie, rimanesse soltanto un piccolo
sentimento chiaro, un battito che continua ostinatamente.
Nel suo insieme, voglio raccontare che nulla scompare davvero:
la materia cade, l’anima sale, e nell’intervallo tra questi due movimenti
nasce l’immagine — fragile e luminosa — di ciò che abbiamo amato.
L'idea geniale, la complessità della realizzazione con tecniche diverse e l
RispondiEliminaGrazie "anonimo" ;)
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