giovedì 30 marzo 2017

Il cinema parlante di Alberto Cavaliere



1932 il cinema parlante 

di mio nonno 

Alberto Cavaliere 



Il sonoro non sincronizzato con le immagini

Il sonoro cinematografico nasce nei primi anni del XX secolo come sonoro non sincronizzato con le immagini cinematografiche. Fino agli anni trenta del XX secolo c'è infatti la consuetudine di accompagnare la proiezione del film con musica eseguita dal vivo, solitamente da un pianista o da un organista, più raramente da un'orchestra.
Dalla metà degli anni venti si diffonde anche la pratica di utilizzare dei dischi fonografici in bachelite a 78 giri per l'accompagnamento musicale. I dischi erano riprodotti da particolari grammofoni, in grado di diffondere la musica in tutto il locale in cui avveniva la proiezioni
La prima a scommettere sul sonoro sincronizzato con le immagini cinematografiche fu la Warner Bros. la quale nel 1925 acquisì dalla Western Electric il Vitaphone, un sistema per il sonoro sincronizzato con le immagini cinematografiche nel quale il sonoro era registrato su disco fonografico (disco in bachelite da 16 pollici con velocità angolare di 33⅓ giri al minuto).
Il primo film con sonoro prodotto a fini commerciali fu quindi un film della Warner Bros., Don Giovanni e Lucrezia Borgia, del 1926. La prima proiezione pubblica a pagamento avvenne nel Warner Teather di New York, il 6 agosto 1926. Per la prima volta il pubblico pagante poteva sentire effetti sonori come il cozzare delle spade durante i duelli e una musica sincronizzata con le immagini cinematografiche, quindi una musica scritta per commentare precise sequenze cinematografiche. Ancora non era stato stabilito uno standard per la sincronizzazione, esistevano differenti sistemi in America e in Europa fino a quando non furono stabiliti i protocolli che unificassero le caratteristiche tecniche per la sincronizzazione validi in tutto il mondo, prendendo come riferimento stabile la frequenza della corrente alternata di rete 

Il cantante di jazz in Vitaphone e le News in Movietone
Il sonoro sincronizzato con le immagini permise anche la realizzazione di film in cui era possibile ascoltare, oltre a suoni e musiche, anche i dialoghi degli attori, permise cioè la nascita del cinema parlato. Il primo film in cui fu possibile ascoltare la voce degli attori fu Il cantante di jazz, proiettato il 27 ottobre 1927 sempre dalla Warner Bros., in cui era possibile ascoltare gli attori sia parlare (una frase del protagonista rivolta al pubblico e un breve dialogo tra il protagonista e la madre in tutto) che cantare (varie canzoni).[1]
In Italia, il primo film sonoro e parlato fu La canzone dell'amore, realizzato nel 1930 da Gennaro Righelli .L'avvento del sonoro sincronizzato che permise la nascita del cinema parlato decretò anche la fine del cinema muto in quanto presto la gente iniziò a preferire ampiamente i film in cui era possibile ascoltare la voce degli attori

Una cinepresa Fox Movietone (1930)
Sistemi di sonoro ottico furono studiati fin dai primi anni e tuttora sono utilizzati. I metodi utilizzati per il sonoro ottico sono due:
La colonna sonora a densità variabile non ebbe molto successo e presto i film furono registrati tutti con colonna sonora ad area variabile la quale garantiva maggiore qualità sonora e maggior sicurezza. Basti pensare che se la stampa del film non era perfetta, la colonna sonora a densità variabile poteva essere anche inascoltabile, mentre qualche imperfezione sulla stampa della colonna sonora ad area variabile non pregiudica troppo il sonoro. La posizione della colonna sonora ottica è stata fissata dagli standard sulla destra della pellicola.
Con questo metodo di registrazione, la traccia audio viene impressa sul film (tra il fotogramma e la perforazione): essa si presenta come un sottile percorso trasparente su fondo scuro, i cui bordi sono ondulati (traccia ad ampiezza variabile). Durante la riproduzione del film la traccia ottica transita davanti ad una cellula fotoelettrica e viene illuminata da una lampada eccitatrice. Il fascio di luce viene modulato dalla traccia ottica sì da colpire la cellula con intensità variabile. Questa trasforma la diversa intensità della luce in una debole corrente elettrica che, una volta amplificata, origina il suono.
Case come la R.C.A. e la Kodak collaborarono per determinare i parametri di registrazione, ma l'evoluzione del suono nel cinema lo si deve all'americano Ray Dolby che già nel 1966 aveva escogitato un sistema per la riduzione del rumore di fondo, sistema Dolby A, poi evolutosi nel più sofisticato Dolby Spectral Recording.

Il sonoro digitale

Sempre della Dolby il sistema attualmente più diffuso, il Dolby Digital, che registra il suono in formato digitale di 5 canali (tre frontali e due surround) a banda estesa ed uno specifico per effetti a bassa frequenza (Low Frequency Effect), detto 5.1, come scacchiere di punti ciascuno rappresentante un bit tra una perforazione e l'altra di uno dei due lati della pellicola. Esiste anche il Dolby Digital Surround Ex, dove EX sta per extended, con in più un canale surround posteriore dedotto per matricizzazione come nel dolby stereo. Dolby sta per proporre il 7.1 per il cinema 3d stereoscopico, ovvero un 5.1 con surround posteriore sinistro e destro indipendenti da surround laterali sinistro e destro.
Sono stati introdotti anche altri sistemi, come il Sony SDDS, del tipo 7.1 (si aggiungono anche i canali intermedi centro-destro e centro-sinistro per riempire di suono i megaschermi) la cui colonna viene stampata - in ciano - sui bordi esterni della pellicola, e il sistema DTS - 5.1 ma anche DTS ES 6.1 - che però non è propriamente una colonna sonora, in quanto consiste di una piccola traccia posta tra la colonna normale e il fotogramma e che serve a sincronizzare una sorgente audio esterna (lettore speciale di CD dedicati) con l'immagine proiettata. Ha dalla sua il vantaggio di far rimanere inalterata la qualità dell'audio nonostante l'usura della pellicola dopo molte proiezioni, inoltre è possibile cambiare lingua semplicemente sostituendo il CD.
La colonna sonora analogica coesiste ancora con i sistemi digitali soprattutto con funzione di riserva, in caso di guasto o difficoltà di lettura - non così improbabile dato il contatto meccanico dei bordi della pellicola durante la proiezione - dei sistemi digitali. È anche vero che non tutte le sale nel mondo sono dotate di sistemi digitali per l'audio

martedì 28 marzo 2017

Cimitero acattolico di Vicenza

Il cimitero acattolico di Vicenza è un cimitero dismesso della città di Vicenza. Costruito tra il 1830 e il 1833 era destinato a ospitare le salme degli ebrei, dei non cattolici, dei bambini morti senza battesimo e dei militari che servivano l' impero austro ungarico.



Sull'area presso il fiume Astichello in cui ora sorge il cimitero acattolico, durante il Medioevo era situata l'abbazia di san Vito gestita dai benedettini, nel XII secolo essa fu ceduta ai canonici della cattedrale, nel 1204 divenne sede dello Studio Generale (o Università di Vicenza), ma dopo pochi anni gli universitari se ne andarono e l'abbazia passò ai camaldolesi. Fu demolita nel Cinquecento e i frati si spostarono nel vicino convento di Santa Lucia.



In seguito al decreto italico del 1806 - che aveva vietato la tumulazione nei sagrati o dentro le chiese e aveva imposto di adibire allo scopo un luogo comune e aperto con l'osservanza di determinate prescrizioni - su quest'area fu costruito un cimitero, che avrebbe dovuto servire la città insieme con l'altro costruito poco fuori porta Castello. Quest'ultimo però si dimostrò inadatto dal punto di vista igienico-sanitario, cosicché nel 1817 il Comune decise la costruzione del nuovo cimitero maggiore, i cui lavori nel 1820 erano progrediti a tal punto che vi iniziarono le inumazioni e non fu più usato il cimitero di Santa Lucia.
Se ne avvertì di nuovo la necessità alla fine degli anni venti dell'Ottocento, perché l'autorità militare austriaca - a quel tempo Vicenza faceva parte del Regno Lombardo-Veneto - insisteva per tumulare nel nuovo Cimitero anche i soldati, che fino a quel momento venivano sepolti in Campo Marzo. La Congregazione Municipale scelse invece di destinare a questo scopo il cimitero di Santa Lucia, da qualche anno in disuso. Così tra il 1830 e il 1833 esso venne riadattato su progetto dell'architetto Bartolomeo Malacarne e destinato ad accogliere le salme dei militari e, diviso da un muro in due settori distinti, degli ebrei, dei non cattolici e dei bambini morti senza battesimo.






Nel 1879-1880, ormai sotto il Regno d'Italia, il muro venne abbattuto e l'unico recinto restò diviso in due parti, l'una per gli ebrei e l'altra per gli acattolici, separate solo da piante. I militari italiani vennero invece tumulati nel Cimitero Maggiore. Durante le due guerre mondiali tuttavia tornarono ad esservi sepolte salme di militari stranieri, specialmente tedeschi[4].
L'ultima sepoltura risale al 1956. Il cimitero è tuttora aperto al pubblico come spazio verde.